Florence + the Machine: Dance Fever | Recensione

florence + the machine dance fever recensione

Hanno rivoluzionato due generazioni con la loro musica di classe e il loro incredibile talento. La band britannica Florence + The Machine; fa oggi ritorno sulle scene musicali con un nuovo disco “Dance Fever”, che arriva quasi 4 anni dopo il precedente High As Hope. La recensione:


Come già vi avevamo anticipato nell’articolo delle novità settimanali, il disco si basa sul fascino provato
dalla leader del gruppo riguardo la piaga da ballo, una vera isteria, diffusasi in Europa nel sedicesimo
secolo, quando le persone si riunivano per ballare insieme danze frenetiche e stravaganti, fino al collasso,
svenendo o nel peggiore dei casi, morendo.
Ecco perché tutto l’album Dance Fever, è accompagnato da immagini, atmosfere musicali e videoclip a
tema danza, la recensione:


La prima traccia, nonché primo singolo dell’album è King. Brano che ha colpito molto i fan del baroque pop
e della indie alternative. Effettivamente il brano si muove bene su queste sfumature eteree e mistiche dalle
quali viene accompagnato, ma non è sicuramente il miglior lavoro dei Florence + The Machine, dato che si
mantiene uno stile molto semplice e un argomento già trattato ripetutamente dal gruppo. Ciò non significa
che il pezzo sia brutto, anzi, è parecchio suggestivo ed è suonato con estrema maestria, semplicemente,
abbiamo visto di meglio.


Passiamo adesso invece al singolo più recente, Free, che continua a narrarci un nuovo capitolo della band;
un’atmosfera più leggera, ma con un significato molto profondo. Free ha uno stile che verte sull’indie pop,
con leggeri riferimenti all’elettronica e la psichedelica, mantenendo un vibe allegro e soleggiato, mentre si
trattano temi come l’ansia, la paura e i “doveri sociali” a cui dobbiamo correr dietro, e come essi purtroppo
ci mangino vivi l’anima e la pace interiore, portandoci problemi come l’ansia, depressione, fretta, disturbi
ma più comunemente, l’impossibilità di godere delle cose che ci fanno star bene. Per il resto, è un ottimo
brano, più d’impatto, diretto e frizzante, rispetto al primo singolo.


Una delle prime tracce del nuovo disco ad essere state scritte è Choreomania. Si tratta di un brano che
inizia con atmosfere psichedeliche e indie, con sfumature di spoken word. Una traccia interessante e
sperimentale sotto certi punti di vista. Il brano si articola tra voce e percussioni, che quasi sovrastano la
dolce voce della cantante, che però non mette da parte la sua forza facendo di Choreomania una delle
tracce meglio riuscite del disco. Unica vera pecca è la lunga dissolvenza finale che rovina il pezzo, ma è solo
un fattore di mixing.


Cori gospel aprono Back In Town e sembra una traccia di altri tempi, dove il cantato sembra registrato in
analogico e in presa diretta. Una voce sublime, a differenza del brano precedente, sovrasta ed è sovrana sul
pezzo quasi esente di particolari strumenti, fuorchè i cori. Semplice ma ipnotico, ed al momento, il pezzo
più psichedelico del disco. La prima impressione è piacevole e curiosa, ma col tempo potrebbe stancare: è
un brano che dovrebbe chiudere l’album, non trovarsi nel bel mezzo di esso.


Veniamo adesso a Girls Against God, la traccia più lunga di tutto l’album. E’ un pezzo dalle sfumature
country, al contrario dei pezzi precedentemente ascoltati. La registrazione però sembra riprendere la stessa
usata nel brano precedente, il che è un bene, perché si può apprezzare a pieno la voce di Florence Welch.
Un pezzo straordinariamente ipnotico e travolgente seppur non proprio originale – ha una struttura
musicale usata e riusata- ma poco importa, è un brano di alta classe, soprattutto nei cori che fanno ingresso
nella seconda parte della canzone.
Interessantissima la parte finale, che fa da preludio al prossimo brano: Dream Evil Girl.

florence + the machine dance fever recensione

Si tratta di un pezzo progressive pop, che trova sfumature anche nello spoken word e nel rock leggero. Un
brano “alla Florence + the Machine”: dolce ma freddo, caldo ma efferato. Le sfumature medievali
compaiono e scompaiono nel brano, creando un senso di presente e passato interessante. Si spera in una
futura pubblicazione come singolo, in quanto si tratta di un pezzo tanto interessante quanto genuino, per la
creatività usata ma anche per la fedeltà al proprio genere e il proprio stile, che ben si adatta ai generi
coinvolti.


Un breve interludio è Prayer Factory, raccontato attraverso cupi suoni e una sorta di filastrocca raccontata,
una sorta di horror pop di breve durata che ci farà approdare alla nuova traccia: Cassandra.


Più etereo e di altri tempi è invece questo pezzo. Le note più chiare, prese da Florence, fanno di Cassandra
un pezzo unico che sfocia nelle atmosfere più scure, ma allo stesso tempo limpide del country. Un brano
che apparentemente risulta leggero, ma si appesantisce e trova il suo senso e il suo spazio man mano che
procede. Forte è il suo significato, ispirato proprio alla Cassandra di Omero, che riflette, all’interno della
canzone di Florence, l’icona della femme fatale, ma anche la forza del sesto senso femminile, che prevede
le disavventure che una cattiva relazione può lasciarsi alle spalle.


Un momento di pausa viene portato con Heaven Is Here, un inno al femminismo in chiave moderna, ma
raccontato attraverso dei suoni e delle melodie medievali, che in qualche modo richiamano la prima
traccia. Una poesia fatta canzone, che per quanto bella e ben strutturata, durata breve e mancanza di una
orecchiabilità continue fanno si che il pezzo rimanga fine a se stesso. Nel mezzo dell’album, è una chicca.

Tempestata di cori e falsetti, Daffodil riprende in qualche modo le atmosfere del brano precedente, tuttavia
trascina al suo interno una dance pura, trainata da veri strumenti country come il basso, la chitarra e le
percussioni. Un pezzo scuro, paranoico, violento ma estremamente piacevole e trascinante nella sua
magnifica bellezza. Un pezzo catastrofico e pesante, che riflette sulla leggerezza della società e del mondo
odierno e del suo bilico tra il bene e il male.


La dance più pura si riversa in My Love, secondo singolo estratto dell’album. Un pezzo, per l’appunto dance,
“macchiato” con sfumature indie e rock. Un pezzo dance che non ha bisogno di particolari sintetizzatori,
per esprimersi al meglio e far interrogare l’ascoltatore su cosa dovrebbe davvero concentrarsi nella vita. In
un mondo dove tutto sembra futile, materiale e temporaneo, dove dovremmo riversare “il nostro
amore”?

Sembrerebbe una domanda stupida ma non lo è. Focalizzarsi su quello che si vuole e sulle cose
davvero importanti nella vita, a volte può sembrare facile ma non lo è. Perché siamo diversi, ognuno di noi
ha sogni, ambizioni, desideri e priorità differenti che sistematicamente la società cerca di smontare per
renderci sempre più apatici e insofferenti verso i beni che abbiamo, mentre dovremmo cercare di amare la
nostra vita e le nostre passioni.


Un altro interludio acustico è Restraint, dove la cantante recita con una voce bassissima i versi del testo,
che sfociano in un oscuro respiro finale.
Totalmente acustica e totalmente malinconica è The Bomb. Giochi di chitarra fanno da protagonisti ad uno
dei pezzi più lenti, ma non meno tormentati del disco, regalandoci una ballad da 30 e lode che si arricchisce
ancora una volta di cori, ma in questo caso restano sullo sfondo, senza oltrepassare il primo piano di
Florence.

Lo stesso concetto si esprime anche nella track finale Morning Elvis, che si colora di nostalgia e di atmosfere
eteree allo stesso tempo. Un pezzo senza tempo ed eclettico, magistralmente eseguito e di una profondità
eccelsa. Tuttavia, non incontra il mio gusto, in quanto è molto meno d’impatto rispetto le tracce
precedenti, per quanto tecnicamente corretto non arriva immediatamente come altre tracce. Se ne
apprezza anche il continuum d’altro canto, come una fuoriuscita di luce nel bel mezzo delle tenebre.

florence + the machine dance fever recensione


Dance Fever è quindi un album che riesce a trovare il suo spazio tra il vecchio e il nuovo, confondendosi tra
i più attuali sound della musica indie fino ad arrivare ai suoni anni ’40 e ’50 e poi confondersi con le
sonorità medievali che caratterizzano un concept album di questo calibro. E’ un disco teatrale, racconta le
disavventure delle epoche passate e quelle attuali, con una maestria ed una cura invidiabili, che non
temono di azzardare pur di arrivare dirette allo spettatore. Certo, degli errori ci sono, ma l’interpretazione e
le atmosfere createsi all’interno del disco, valgono molto di più di quelle piccole imperfezioni che rendono
Dance Fever un momento straordinario.


Gabriele Romano

Correzione a cura di Valentina La Viola