Iron Maiden: “Senjutsu” | Recensione Music Voltage

Una carriera quarantennale: sedici dischi, che hanno fatto impazzire gli amanti del metal di tutto il mondo e stravolto il mondo della musica.  Il loro nome è leggenda, nessun fan della musica hard rock, heavy o metal può non essere d’accordo sul fatto che gli Iron Maiden, sono indubbiamente i precursori e i maestri di questo genere.

A cinque anni di distanza dal loro ultimo disco, “The Book Of Souls”, che divise l’opinione della critica e degli appassionati, esce “Senjutsu”, il diciassettesimo disco che ci viene presentato con due nuovi singoli, usciti quest’estate e un inedito “Eddie”, in versione samurai.

Senjutsu

La caratteristica che piace e non piace degli Iron Maiden sul nostro fronte è : l’evolversi e aggiornarsi ad ogni disco e pezzo nuovo, rimanendo in linea con il loro stile, seppur impreziosendolo con archetipi nuovi e strumenti moderni, che non facciano sembrare la loro musica datata, bensì adatta ad un gruppo metal dei giorni nostri.

Stessa cosa accade con “Senjutsu”, che però, a differenza dei precedenti due dischi, qualche accordo nostalgico se l’è anche concesso.

L’album è stato registrato durante il Legacy of the Beast Tour del 2019 , poi, tenuto sotto stretta sorveglianza durante il periodo pandemico, fino ad arrivare ai giorni nostri, dove con un’edizione in due dischi possiamo goderci il nuovo pezzo.

Il disco si apre con la title track: un inquietante pattern di batteria tribale che lascia il posto a un’impennata rock mid-tempo. La caratteristica che si nota subito è come la voce di Bruce Dickinson abbia assunto una piacevole profondità con il tempo, cantando gli ultimi gloriosi giorni di un impero che è stato fantastico.

Il primo singolo, “The Writing on The Wall”, si presenta inaspettatamente come un pezzo dalle atmosfere Southern Rock, utilizzando un ritmo più scanzonato e non del tutto pulito, ma poco importa, alla fine ai fan piace proprio così!

E’ invece diversa “Lost in a Lost World”, che a differenza della precedente si apre con un leggero strimpellamento acustico e un po’ di riverbero vocale, prima di lanciarsi in un riff mastodontico.

Il concetto di nostalgia moderna si rinforza in Days of Future Past, una canzone apocalittica ma estremamente moderna, con una sgargiante orientaleggiante intro e un doppio ritornello che assolutamente doveva durare di più! Un ottimo pezzo e un potenziale singolo che il mondo ha bisogno di conoscere!

Senjutsu Iron Maiden

Le intro acustiche sono proprio il forte di questo album, facendo sì che anche “The Time Machine “ veda la sua ascesa, facendo però un cenno ad alcuni pezzi del disco “The Final Frontier”.


Tra il forte vibrato di Dickinson, le plettrate ancestrali che colorano il ritornello, che ha un sottofondo più acustico e un piccolo intermezzo prog che fa scatenare l’ascoltatore, siamo di fronte ad una delle tracce più ipnotiche dell’intero disco.

Onde e gabbiani rumorosi aprono le chitarre violente di “Darkest Hour”, che con melodie folk, celtiche ed estremamente cupe ci regala un pezzo molto meditativo e pensieroso.

E’ atipico vedere come una quasi ballad compaia nel repertorio dei Maiden, ma allo stesso tempo è eccitante e quasi richiesto, lasciando al brano un retrogusto dolceamaro che sicuramente il pubblico apprezzerà, e se non lo farà lo apprezzerà con il tempo.

E’ invece diversa “Death Of Celts”, che sembra quasi esser divisa in due parti: un’inizio più malinconico e cupo, quasi triste, e una fine più aggressiva e violenta, da vero soldato pronto a combattere la sua guerra.


E’ un epopea da 10 minuti che appunto include del finger picking acustico e discute proprio delle tematiche della guerra e delle battaglie, creando uno di quei brani che non è distorto, ma fa sentire te distorto, cercando  di capire il nesso tra il brano e il resto del disco.

E’ un brano che a primo impatto potrebbe non colpire, ma con gli ascolti, potrebbe diventare una delle tracce meglio riuscite di questo 2021.

O forse no…

Non ci sono strutture tradizionali in questo album, e la penultima track “The Parchment” ce ne dà la conferma. Manca proprio l’idea di “modello per fare una canzone”, manca una “struttura” conforme … Steve crea un nuovo modo di fare musica, di comporre, di scrivere … Crea una rivoluzione nella rivoluzione stessa del brano.

Anch’esso è un brano molto particolare, che può colpire positivamente come negativamente, ma dopo un po’ di ascolti non si può negare ad un testo così importante, l’ascesa tra i migliori brani dei Maiden.

E poi, le regole sono state fatte per essere sconvolte, vero?

Si conclude l’album con “Hell on Earth”, una canzone , il cui significato non è poi così difficile da intuire. Un pezzo dedicato alla gloria degli Iron Maiden che si autocelebrano e celebrano la loro intera carriera in un brano che si muove veloce e progressivo verso un urlo di lotta, e un ritmo così veloce e complesso che fa sobbalzare per l’incredibilità della precisione di tutti i musicisti.

Questo ci fa notare che gli Iron Maiden, nonostante l’età non propriamente “giovane”, stiano in realtà vivendo il loro periodo artistico più creativo ed espansivo.

Sì, perché tra straordinari testi, melodie sempre più ricercate, studiate e perché no, improvvisate, veniamo a contatto con un album che potrebbe far scuola a molti artisti e gruppi; facendo notare come si possa essere “a passo con i tempi” senza perdere stile e creatività, naturalmente sfoggiando in primis una grande dose di talento.

Gabriele Romano

Correzioni di Valentina La Viola