Tears For Fears: The Tipping Point | Recensione Music Voltage

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Dopo anni d’attesa, i Tears For Fears tornano con The Tipping Point, un glorioso album di cui siamo lieti di offrire la recensione.


18 anni son passati da quando i Tears For Fears hanno rilasciato il loro sesto e ultimo album: Everybody
Loves A Happy Ending
; un periodo d’attesa estremamente lungo che non va proprio a favore delle classifiche, ma se la qualità ripaga, un buon album può sempre spiccare il volo. C’è solo da capire se davvero soddisferà le aspettative dei vecchi fan e dei possibili nuovi.


La band è formata dal duo storico Roland Orzabal e Curt Smith, che insieme hanno creato una delle icone più importanti del panorama musicale internazionale degli anni ‘80 e ’90, vendendo a livello mondiale più di 50 milioni di dischi; c’è da dire che gli anni ’90 hanno visto una svolta notevole nel panorama musicale, specialmente in ambito rock, dove il grunge e il rap hanno segnato la fine di diverse carriere, mettendo in
crisi anche quella dei Tears For Fears, che non hanno avuto vita facile.

Infatti abbiamo assistito a diversi battibecchi, prima che Curtis lasciasse il duo. Nel 2004 ci riprovarono con l’album Everybody Loves an Happy Ending di discreto successo, ma la voglia di collaborare non era ancora tornata allo splendore originale, chissà oggi allora ci chiediamo!

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I Tears For Fears, nonostante siano quasi sconosciuti alle nuove generazioni, hanno influenzato e ispirato
parecchi artisti del calibro di Lorde, Kanye West, Drake e lo strabiliante The Weeknd, nonché scritto colonne sonore per importanti film tra i quali spicca Donnie Darko.


Ma quando un artista o un gruppo decide di mettere le carte in tavola e di riaffacciarsi al mondo del music
business le vie sono due: o ci si ritrova di fronte a un capolavoro o di fronte a un completo fiasco.
The Tipping Point dove si piazzerà?
Sospirate di sollievo, è un capolavoro!

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Si attualizza e si aggiorna, ma non perde la firma dei suoi compositori. Fa scorta di produttori di un certo
calibro, non si fa influenzare dalle mode attuali, contando nel team di lavoro Sacha Skarbek, Florian Reutter
e Charlton Pettus che creano un disco synth-pop, con riferimenti alla new wave e all’art rock. Chitarre
acustiche e fisarmoniche trovano il loro difficile connubio con gli strumenti più tecnologici e virtuali, e testi
intrinsechi e oscuri schiaffeggiano le bravate degli artisti moderni, come la title track che funge anche da
primo singolo per il disco.


Un esempio è anche la prima traccia, No Small Things, che parte delicata come una canzone folk anni
‘60/’70 per poi dimenarsi in un caos irrefrenabile, riportando alle nostre orecchie tutto il senso che il brano
voleva dare. Una vera escalation.
Con un groove serrato e un ritornello martellante, Break The Man fa il suo ingresso in scena, dando spazio a
sintetizzatori, piano e voce in un giusto contesto di parità sessuale, un brano moderno che però risuona
come i grandi successi dei Beatles.
Alla facciaccia dei “vecchi cialtroni convinti che i loro anni siano stati i migliori e che mai si ritornerà allo
splendore dei loro tempi”, con My Demons e End Of The Night il duo dimostra ancora come si armeggia un
brano synth-pop: testi densi e sinistri, brani industriali che ipnotizzano lo spettatore affamato di qualità,
storia e musica nuova allo stesso tempo.

Si continua con Rivers Of Mercy, una canzone dal suono più caldo e morbido, pieno di serenità e di
spiritualità, filo conduttore che guiderà anche la prossima traccia, una ballad (rara ormai nel panorama
internazionale) arricchita da stupendi archi dal titolo Please Be Happy.


Ma la canzone migliore dell’album, il momento più alto e magnifico di tutto il disco resta Stay, una
commovente traccia che risuona come una preghiera alla sofferenza di volere che i nostri affetti restino
accanto, ancora più a lungo senza che il dolore possa pervaderli; una canzone che fa vedere quanto siamo
deboli di fronte ai sentimenti e al duro processo della vita, che a volte ci sembra semplice ma che si
configura come rastrellata di difficoltà e non, di alti e bassi, insomma non proprio una passeggiata.

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E allora? Cosa dire di queste 10 tracce che non hanno rispettato a pieno le regole dello showbiz (brani
lunghi ma pochi, musica attualizzata ma non da streaming …) ?
The Tipping Point non annoia, non c’è un momento in cui guardi la durata per vedere quando il pezzo
finisca, non ti rendi nemmeno conto di quando sei arrivato alla fine, non si pubblicizza nemmeno con
featuring improbabili con artisti famosi, messi li per fare pubblicità. Sono canzoni mirate a rimanere nella
storia, per portare il marchio dei Tears for Fears nei nuovi anni ’20, sono canzoni mirate a impressionare il
pubblico e a mostrare maestria, passione e dedizione in un mondo dove tutto è veloce e la qualità tende a
scarseggiare.

Hai già ascoltato il nuovo album di Irama? Leggi la recensione qui.

Gabriele Romano

Correzione a cura di Valentina La Viola