Una chiacchierata con Pamela Guglielmetti, la straordinaria artista che ci ha conquistati! | Intervista Music Voltage

Una voce strabiliante, un talento esclusivo che si estende su diversi rami dell’arte: dal teatro, alla musica, al ballo e alla letteratura. Dopo aver ascoltato il suo album Cammino Controvento, Pamela Guglielmetti ha accettato di raccontarsi qui su Music Voltage, parlando del suo meraviglioso disco e della sua vita. Qui trovate la nostra recensione.

MV: La tua strabiliante carriera é iniziata al Teatro Nuovo di Torino, un passo importante che ti ha lanciata nel tuo mondo del lavoro. Cosa ti ricorda quel periodo?

Pamela: Il Teatro Nuovo è stata l’apertura di una porta verso una nuova direzione che, in realtà, non avevo ancora ben chiara quale sarebbe stata. Al di là di quello che ha portato l’esperienza in sé, di cui ti racconterò a seguire, ha rappresentato la mia prima grande, seppur inconsapevole, scelta.

In quel periodo lavoravo in un call centre per guadagnarmi da vivere. Portavo avanti la mia passione per la danza ma soffrivo di una sorta di “sindrome del brutto anatroccolo”, il fatto che io avessi iniziato tardi a danzare rispetto allo standard, mi faceva sentire un passo in dietro rispetto alle mie compagne.

Ho iniziato a studiare ad una età molto tarda rispetto alla media, perché il paesino in cui vivevo era servito da pochissimi mezzi pubblici. I miei genitori lavoravano fino a tardi e mi hanno concesso di frequentare una scuola di ballo soltanto quando sono stata sufficientemente grande per spostarmi da sola.

L’inizio delle scuole medie obbligava a crescere in fretta per noi ragazzini di paese, si iniziava a prendere il pullman di linea e ci si spostava. Per me è stata una benedizione uscire da confini molto stretti e potere iniziare a prendere confidenza con quello che sentivo familiare. Seppur iniziando a studiare tardi, alla fine ho raggiunto in pochi anni le mie coetanee.

Nonostante questo mi sentivo senza credenziali necessarie per potere lavorare come danzatrice professionista. Quando ho saputo di avere superato il provino per accedere alla formazione professionale al Teatro Nuovo, al quale mi ero iscritta per gioco insieme ad una mia compagna di corso ed amica, ho scoperto che la frequenza era giornaliera e comprendeva giornate da sei ore di formazione.

A quel punto, nonostante mi sentissi molto lontana dal potere diventare una vera danzatrice, non ci ho pensato due volte e mi sono licenziata. L’esperienza all’interno di quel percorso formativo mi ha fatto scoprire che io non valevo meno delle altre, ero semplicemente diversa. Non avevo la struttura fisica di chi aveva iniziato a studiare a 5 anni danza classica, ma ho scoperto che la danza era tante cose, aveva tante sfumature diverse, e ci si poteva ricavare un proprio spazio sfruttando le proprie qualità. Ricordo ancora i lunghi discorsi con Pompea Santoro, che mi ha fatto notare degli aspetti unici nella mia modalità  espressiva. Da lì ho capito che il mio punto di forza poteva essere l’espressività, la carica comunicativa e ho iniziato a muovermi alla ricerca di una mia modalità narrativa in tutti gli ambiti in cui sono approdata

Pamela

MV: I tuoi dischi sono influenzati da un cantautorali a mio avviso unico: pochi strumenti accompagnati da una voce narrante storie che a loro volta impersonificano sentimenti ed emozioni. Com’è nata l’idea di raccontarsi attraverso questo stile musicale?

Pamela: Il mio stile narrativo è nato in modo naturale, non è stato il prodotto di una elaborazione. Attraverso un percorso di ricerca di autenticità, di verità, ho fatto tanti tentativi, ho lasciato quello che non mi risuonava, ho capito cosa non funzionava e cercato strade migliori. Ma è stato un processo di crescita e trasformazione del tutto naturale. Ho capito che gli studi servivano per avere una struttura e conoscere cose, ma che poi era necessario abbandonare le strutture e ridurre tutto all’essenziale. Ho fatto esperienze in compagnie di danza e di teatro, per poi allontanarmene e seguire quello che sentivo rappresentarmi meglio.

Non esisteva nulla che mi rappresentasse davvero, ho dovuto crearlo, costruirlo. Da qui, la scelta di muovermi da sola, scelta difficile e tortuosa, ma non ero fatta per strutture predefinite e soprattutto non ero fatta per essere interprete di quello che creavano gli altri. Non potevo essere voce di un qualcosa che non sentivo, della visione di qualcun altro che non fosse sulle mie corde.

E non ero fatta per l’ambiente istituzionale dello spettacolo, da cui ho voluto discostarmi, perché era qualcosa di artificiale,  gerarchico, schiavizzante. Mi sono imbattuta in esperienze molto spiacevoli, nettamente in antitesi con ciò che l’universo artistico dovrebbe rappresentare.

Quello che sono oggi è semplicemente la risultante di anni di “viaggio”, l’insieme di tutte le esperienze che ho fatto e del percorso personale che ho intrapreso per  ritrovare me stessa e la mia natura, come artista e come persona.


MV: Sei nata a Ivrea e poi trasferita in Liguria, é un passo molto importante! Come mai proprio questa terra?

Pamela: Posso dirti di avere seguito una “chiamata”. Ho sempre amato il mare, ma non ho mai pensato di andarci a vivere. Negli ultimi anni ho vissuto una serie di fatti inspiegabili, sincronismi, ogni volta che mi capitava di andare in Liguria, finché, nelle vacanze  pasquali di quattro anni fa, questi eventi inattesi e difficili da incasellare mi hanno fatto capire che questa terra mi stava lanciando chiari messaggi.

Ero in vacanza con una amica. In quei pochi giorni sono accadute cose e ho fatto incontri voluti da cielo, non potrei pensare diversamente. So soltanto che il secondo giorno, camminando per le piccole vie di Finalborgo, un grazioso borgo medioevale del finalese, ho fermato una stanza in una struttura di ospitalità ancora inesistente.

La proprietaria stava seguendo i lavori di ristrutturazione, era un completo caos, operai all’opera, non si poteva minimamente immaginare cosa sarebbe diventato quel posto; eppure io ho fermato due settimane a luglio.

Ancora non sapevo sarei tornata ad agosto e poi a Natale, a cercare casa. Ho trovato casa due giorni prima della mia ripartenza. Mi ero detta che se non avessi trovato nulla, significava che non era destino e che il mio istinto mi aveva tradita. Invece la casa è arrivata. Non mi sono spostata per amore o lavoro. Certo, la Liguria, patria di cantautori, poteva essere uno stimolo forte, eppure, non era quello a chiamarmi. Ho fatto tutto molto in fretta.

Ho lasciato, per la seconda volta nella mia vita, un lavoro sicuro che mi aiutava ad arrivare a fine mese ma non mi lasciava più il tempo per dedicarmi a quello che amavo davvero, ho venduto quello che avevo e sono partita. Nonostante le prove durissime che mi si sono presentate negli ultimi due anni e mezzo, posso dire che rifarei tutto mille volte e mai nessuna mia scelta ho sentito essere più vera.

MV: I tuoi 3 dischi sono dei veri capolavori, ma a tuo dire, qual é la differenza sostanziale tra loro?

Pamela: Il primo album, L’Eco dei Mondi Perduti, è stato il mio esordio compositivo e cantautorale. È stato un primo tentativo di resa musicale di ciò che sentivo importante comunicare. Ho sempre scritto per il teatro, non mi ero mai cimentata con la scrittura di  testi per canzoni e, soprattutto, non avevo mai cercato di tradurre in musica i miei panorami interiori.

Il preziosissimo aiuto di Silvano Ganio mego, un brillante musicista eporediese, è stato fondamentale perché mi ha aiutata ad entrare in un mondo che non avevo ancora approfondito e iniziare a sperimentare una sorta di “unione tra le arti” attraverso la musica. Una unione, però, che risultava ancora un po’ frammentata e i suoni troppo artificiali. È un bellissimo lavoro, ma la mancanza di calore, mi ha spinta a condurre una ricerca totalmente opposta in Frammenti. Il secondo Album, inciso oltretutto nel periodo peggiore tra febbraio e maggio 2020, è una spogliazione totale di ogni artificio. Volevo una resa naturale, acustica, senza elaborazione alcuna, come se ci si trovasse in un live.

Mi piaceva pensare che le persone che per tanto tempo non avevano potuto ascoltare musica dal vivo, e per molto tempo ancora non lo avrebbero potuto fare, avessero la possibilità di ritrovarne le atmosfere. Ne è risultato un disco senza effetti speciali, nudo, ruvido, la voce stessa credo esprimesse la difficoltà di quel momento.

Il recente album Cammino controvento invece, è il raggiungimento di un equilibrio: le atmosfere sospese ed evocative tornano a danzare con le parole, pur scegliendo una strumentazione reale e di base acustica, ma celebrata con raffinatezza. La voce perde l’esigenza di comunicare con impeto e si fa quieta, dolce, perché sa che spesso, un sussurro, è cento volte più penetrante di un grido. Credo che questo album abbia raggiunto una maturità espressiva ed artistica che mi rappresenta davvero.

Questo risultato è stato raggiunto grazie a tutti i musicisti sensibili con cui ho avuto l’onore e la gioia di lavorare e ad Andrea Torretta, colui che ha prodotto l’intero lavoro. Andrea mi ha presa per mano dall’inizio, da quando è nata l’idea di rendere in una forma più convincente uno dei pezzi da me composti che amavo molto, Il Tempo non esiste. Ha capito perfettamente il mio panorama interiore ed è nato un lungo lavoro a due alla ricerca del modo migliore per rappresentare il mio mondo.

Avere consapevolezza di sé stessi è fondamentale, ma chi è fuori da noi, ha una visione che noi non abbiamo.

Siamo limitati da confini, nonostante l’apertura che abbiamo sul mondo. È indispensabile aprirsi a quello che gli altri scorgono di noi e, soprattutto, permettere loro di mostrarcelo. Andrea mi rimarca sempre che se io non mi fossi affidata completamente ad accogliere le sue visioni e fossi rimasta arroccata sulle mie certezze e le mie abitudini, non avremmo ottenuto lo stesso risultato.

Per un artista ormai strutturato è sempre molto difficile decostruire aspetti di sé e aprirsi a modalità diverse.


MV: Sappiamo che tieni molto al tuo pubblico e non é una dote di tutti gli artisti purtroppo. Quanto é importante per te, e quali sono i migliori metodi per fidelizzare e far sentire il pubblico “a casa” e sostenuto da un’artista?

Pamela: È vero, tengo molto al pubblico. La dimensione di contatto è fondamentale. Vedi, se io mi esibisco non lo faccio per auto celebrarmi, o dimostrare particolari virtuosismi. Il mio lavoro è una percorso di collegamento, un ponte tra me, la vita che si mostra attraverso di me e il pubblico.

Io salgo sul palco perché ho cose da dire, da trasmettere. Ma quello che ho da raccontare non è quello che sento in modo istintuale, bensì quello che la vita mi ha mostrato. I miei racconti sono pezzi di vita vissuta, integrata, esplorata, la vita mia e di tutti.

Porto alle persone percorsi di riscoperta di quelli che possono essere spiragli di luce attraverso il buio, di potenziali attraverso quelle che possono essere esperienze dolorose. Le mie canzoni sono dei processi alchemici, dei riti di passaggio che alla fine vogliono portare un balsamo per il cuore.

Sul palco io porto tutto questo cercando di infondere speranza, prendere per mano, portare un abbraccio dove serve e meraviglia dove è possibile. E per fare questo, mi metto completamente a nudo, sul palco sono una donna, non una artista, sono una persona in carne ed ossa che racconta ad altre persone e, mentre lo fa, ci mette tutto l’amore che ha.

Sicuramente la mia musica o il mio teatro non sono una forma di spensierato intrattenimento, ci si avvicina se si ha reale desiderio di entrare in sé stessi.


MV: Quali sono le influenze musicali e teatrali che hanno segnato e ispirato la figura di Pamela Guglielmetti?

Pamela: Questa per me è una domanda difficile. Nel senso che ho visto e ascoltato diverse cose, non seguo generi particolari, sono una curiosa e mi soffermo su quello che mi entra dentro e mi porta grande emozione.

Posso citarti artisti che amo, ma non posso dirti di averne tratto reale ispirazione, piuttosto, mi ci sono avvicinata per “risonanza”, perché sento che quello che esprimono si avvicina al mio mondo interiore. Come performer ti posso citare la strepitosa Martha Graham, che univa l’espressione corporea alla profondità emozionale e che curava la costumistica in modo simbiotico con il corpo stesso facendola diventare un suo prolungamento.

Ho amato in modo viscerale i Momix e la visionarietà di Moses Pendleton. Il mio mondo teatrale attinge molto dalle atmosfere che hanno più a che fare con la performance piuttosto che il teatro classico. Il lavoro di ricerca, indagazione e trasposizione di Marco Paolini mi ha sempre affascinata moltissimo.

Musicalmente ho gusti molto variegati, trovo molto familiari le atmosfere che animano le produzioni di artisti come i Mogwai, i Sigùr Ros, Daughter, ma amo in modo viscerale artisti italianissimi e narratori sopraffini come Sergio Cammariere, Simone Cristicchi, Niccolò Fabi

Pamela 2


MV: Cammino Controvento é un disco molto particolare e siamo certi che molte canzoni siano autobiografiche, ma se dovessi scegliere il tuo brano preferito, quale sarebbe?

Sì avete ragione, molti pezzi sono autobiografici, ma sono stati scritti con la consapevolezza che i temi che affronto sono temi universali, collettivi, in cui tutti possono ritrovarsi. Mi è capitato tante volte di sentirmi dire da persone che si trovavano ad un mio spettacolo o ad un mio concerto, che erano state spinte a venire da una sorta di pulsione istintuale e che si erano trovate ad ascoltare le parole che avevano bisogno di sentire in quel momento.

Queste credo siano le reali magie e connessioni che la vita porta, se ci si ferma ad ascoltarla. Amo tutti i brani, non mi è semplice sceglierne uno. Ma se devo farlo,  rispondo “Come sarà”. Si tratta di un pezzo non autobiografico in senso classico, porta mie riflessioni su quello che io vedo intorno a me certo, ma anche visioni nuove per una idea di nuova umanità che ritengo salvifica.

E so che questo brano porta quelle che potrebbero essere le parole e le speranze di tante persone.

L’arrangiamento del pezzo è stato curato da Maurizio Fiaschi, grande musicista, compositore dalla sensibilità straordinaria. Maurizio ha saputo trasformare la mia linea melodica iniziale in un universo sonoro multisensoriale.


MV: Cosa ne pensi della musica attuale? I nuovi generi e i nuovi mezzi di trasmissione musicale come piattaforme streaming e album digitali? Credi che abbiano rovinato le atmosfere dei CD e dei vinili?

Pamela: Domanda delicata. Non voglio passare per una conservatrice attempata! Non sono così vecchia per cui non parlo con toni nostalgici di tempi andati. Ti rispondo più che altro dal punto di vista umano. La musica attuale la ascolto poco. Devi proprio scavare in ambiti di nicchia per trovare qualcosa di interessante.

Il fatto è che è stato tutto appiattito da format predefiniti, da una sorta di mercato che ha assunto quasi una identità fisica. Si parla del “mercato” come si parlasse di un individuo in carne ed ossa. È un credere comune che la musica, l’arte, lo spettacolo, seguano quello che la gente chiede quindi, occorre seguire determinati requisiti per soddisfare le richieste.

Ma cosa porta le persone a richiedere un determinato standard? Una educazione di massa ad un determinato tipo di prodotto che porta gli individui ad uniformarsi e perdere ogni spirito critico, ogni potere decisionale. Il mercato riesce a fare piacere quello che non compreresti mai, quando magari avresti bisogno di tutt’altro.

Questo è il vero male di oggi. La perdita di individualità a favore di una omologazione che crede sia meglio avere chi pensa per te. È sicuramente più comodo, ma allontana da te stesso e dal sapore del vivere consapevolmente.

La maggior parte dei gruppi o dei cantanti di nuova generazione, ma posso anche dirti degli attori, ricalcano impostazioni base di fabbrica, lontano dalle quali si cade nell’ invisibilità. I talent a mio avviso non sono una opportunità, sono una via diretta verso una omologazione a cui ci si sta abituando.

La musica digitale ormai è il futuro di un mondo “liquido” che si consuma di corsa, è comoda, veloce. Come fai a spiegare che un disco fisico tenuto in mano è diverso? Che ascoltare un cd in uno stereo e con cuffie è diverso che ascoltare musica dal cellulare o da una chiavetta?

Il lavoro di un musicista che incide un disco è un lavoro immenso. C’è una cura verso i suoni, che non si avverte minimamente attraverso un cellulare o un computer.

Quanti di noi ascoltano la musica almeno con le cuffie, a parte i runner? Quanti di noi ascoltano musica in religioso silenzio dedicandosi a quello senza fare mille cose nel mentre? Forse quelli che troverebbero il tempo per andare a scegliere ancora, non dico un vinile, ma almeno un cd, in un negozio musicale, se solo esistessero ancora.

La musica è un qualcosa di fortemente rituale, direi quasi spirituale, di profonda riconnessione intima. Quella di oggi è sottoposta ad abitudini che fanno totalmente perdere questa connessione. I vinili stanno tornando ma a prezzi assurdi e non hanno lo stesso suono di quelli originali.

Non dico altro, se non che il digitale ormai è d’obbligo, non è più una scelta. Ormai tutti noi artisti pubblichiamo sul web, ma non tutti lo fanno con il sorriso sulle labbra. Pensiamo anche al fatto che la musica digitale ha distrutto il mercato musicale, gli artisti non guadagnano più dalle vendite dei dischi, se sono fortunati vendono qualche disco a qualche affezionato che ha ancora un lettore cd. Non esiste più memoria, concretezza.

Non pensiamo mai che tutto il grande mondo in rete, potrebbe fermarsi e scomparire in un secondo e, con lui, tutte le nostre vite “sintetiche”.


MV: Vedere esibirti dal vivo dev’essere un’esperienza unica, hai già in mente dei concerti per il futuro?

Pamela: Ti ringrazio, mi commuove questo tuo pensiero, mi manca così tanto il palcoscenico. Questo album è tutto da cavalcare ora. Sta ottenendo bellissimi riscontri, direi inattesi addirittura, e voglio rendere onore a questo immenso lavoro.

I concerti sono ancora un grande interrogativo perché in realtà nulla è davvero ripartito ed è tutto così confuso e grottesco, che davvero non si capisce quale sarà il destino  voluto per gli artisti. E per “voluto” intendo “desiderato da chi decide per tutti, pensando che la cultura sia un bene sacrificabile”.


MV: E in ambito teatrale e letterale?

C’è un romanzo in cerca di editore che, mi auguro, stia per vedere la luce. Ci sono probabilità che la Pamela attrice torni a breve, sempre rimettendoci ovviamente alla volontà di chi tutto decide. Poi ci sono progetti formativi e di sostegno alla persona.

Negli anni mi sono dedicata al trasformare la voce ed il suono in forme di aiuto. Il suono ha una importanza fondamentale in tutto quello che può essere un processo di recupero del proprio benessere, per questo, ne ho fatto anche una forma di accompagnamento per il recupero del contatto con sé stessi attraverso corsi e sessioni private.

Progetti tanti, ma si procede di giorno in giorno perché ormai siamo abituati a cambiamenti improvvisi, bruschi e repentini che richiedono adattamenti costanti e nuove strategie ed equilibri.

Cammino Controvento è un album fenomenale, così come la sua autrice. Resta uno dei must di questo 2021, e ascoltarlo, con la mente e con il cuore è un toccasana per l’anima! Noi di Music Voltage, vi consigliamo di ascoltarlo, e nel ringraziare ancora una volta Pamela, vi alleghiamo il link per godervelo.

A cura di Gabriele Romano