Jackson Browne: “Downhill From Everywhere” | Recensione Music Voltage

Dopo sei anni di attesa, Jackson Browne finalmente rilascia un nuovo album: “Downhill from
Everywhere”, il 15esimo della sua inarrestabile carriera.
Composto nel periodo pandemico del 2020, l’album ha avuto la collaborazione di grandi musicisti nonché storici colleghi dell’artista, quali Greg Leisz, Val McCallum, Bob Glaub, il tastierista Jeff Young e Mauricio Lewak, collegati da un forte senso di positività e dalla voglia di cercare nuovi suoni e nuove idee per far tornare la musica a regalare pace e serenità a coloro che l’ascoltano e la amano.Il disco parla di desideri,dubbi, rispetto, giustizia, dignità e verità, ma lo fa con una chiave che non recrimina né biasima, anzi si cerca insieme un’idea per far del mondo un posto migliore.


“So che mi resta ancora del tempo da vivere. Ma ora che ho un fantastico nipote, sento ancora di più la
responsabilità di lasciargli un mondo vivibile”

Jackson Browne


E quando si parla di un posto migliore, si parla di un mondo pulito, buono, sano e che abbracci la diversità e
l’uguaglianza dei suoi abitanti, per un disco che è difficile non definire pacifista.
Nel pieno dei suoi 70 anni, Jackson Browne ci regala un disco che ci fa tornare indietro nel tempo, quando il
rock ‘n’ roll spensierato di quei nostalgici anni era una fonte dissetante per i giovani che non chiedevano altro che essere ascoltati e far valere i propri diritti , per creare il mondo che loro desideravano: un mondo fatto di pace, amore e giustizia.


Una musica che abbraccia bene lo stile country e rock e mantiene in uno stile elegante e raffinato, non risultando né eccessivamente moderno, né eccessivamente vintage, e mantenendo un atmosfera di
allegria costante per tutto il disco.


L’album si apre con Still Looking For Something, un brano gentilmente aperto da batteria e chitarra, in cui
il cantante sembra essere in cerca di qualcosa che possa colorargli la vita e regalargli nuove emozioni, ed è
disposto anche a cedere qualcosa in cambio pur di ottenerlo, elogiando il sacrificio per raggiungere i propri
obiettivi. Bellissimo il sereno e spensierato beat country che accompagna la traccia che si presenta morbida
e adatta ad aprire un disco di tutto rispetto.


Si continua poi con My Cleveland Heart, molto più spensierata e con influenze leggermente più rock,
bellissimi i cori nel pre – ritornello di uno dei singoli estratti per questo album, e sicuramente fra le tracce
più orecchiabili del disco. I riff, il cantato, gli strumenti e la produzione in generale, rendono tale traccia un
momento per perdersi nella musica. Bellissimo è anche il significato del testo:dove l’artista si autocelebra
per aver raggiunto i suoi traguardi, senza però dimenticare le proprie radici la persona che è.


Un po’ più cupa è invece Minutes To Downtown che invece si muove su colpi leggeri di tastiera e di basso.
Il ritmo più “notturno” comincia a rendere tutto più rilassato e sereno, ma soprattutto romantico, dato che
la canzone è un tributo all’amore, un amore lungo e pieno di fiducia, il tutto raccontato con piene
atmosfere di una canzone d’altri tempi, fatta di musica e amore, senza troppe metafore e allusioni, ma con il semplice gusto di poter passare il tempo insieme.


E’ cantata poi con Leslie Mendelson “A Human Touch, che sembra seguire lo stesso filo conduttore del
precedente, almeno in tema musicale;mentre le voci si fondono perfettamente l’una nell’altra, creando una ballad come ormai se ne sentono poche in giro, possiamo proclamarlo uninno inno all’essere tristi e delusi, ma con la speranza sempre nel cuore, che un domani tutto sia migliore.

Jackson Browne
fonte: Metacritic

Si, perché a volte le più grandi sofferenze, si possono curare con la vicinanza di qualcuno che ci vuole bene, e questa canzone descrive superbamente il concetto.


Ci riprendiamo dalle sfumature più scure dell’album con Love Is Love. Un brano che non scoppietta come
le prime due tracce, ma che sembra seguire lo stile di “Minute to Downtown” e “A Human Touch”, ma in maniera
diversa. Un riff diverso, un tempo diverso, più dolce, più sorridente, animato da meravigliosi ornamenti che
celebrano la bellezza e la geninuità dell’amore, della pace e della giustizia, e di come essi siano
fondamentali per la nostra esistenza, e per l’ appunto, vivere in un mondo – grande amore di Browne –
migliore.


Riprende invece la via più sbarazzina, e decisamente più rock, la title- track, che a quanto pare, è nata
mentre l’artista parlava con un suo amico oceanografo che gli spiegava i segreti del suo mestiere. La
canzone, oltre ad essere un appoggio al movimento ecologico e per la salvaguardia del pianeta, ha una
storia lunga dieci anni: è infatti prima apparsa nel documentario The Story of Plastic, poi nel suo Ep
omonimo l’anno scorso e infine nell’album di quest’anno. E che dire se non che è un pezzo di cui
necessariamente si sentiva il bisogno?


Un po’ di inglese, un po’ di spagnolo, ed ecco il testo di The Dreamer, ed è così che si collabora con la
amica, fan e collega Linda Ronstadt, per una canzone che tratta in maniera –letteralmente – impegnativa, e allo
stesso tempo leggera – musicalmente – il tema della deportazione, della mancanza di tolleranza verso il prossimo, spingendo lo stesso ascoltatore a chiedersi come ci si sentirebbe semmai si fosse dall’altro lato della
visuale. Crudo e politico, ma mai senza perdere la giusta verve a cui Browne ci ha abituati.


Ed è seguendo questi ideali che prende forma Until Justice Is Real, che in pieno rispecchia lo stile dell’album senza però farlo sembrare ripetitivo; ponendo sempre la musica country in primo piano , sorretto dal ritmo di un fiammante rock n’ roll, parlando di temi delicati. In questo caso – come si può evincere dal titolo – siamo di fronte ad un pezzo che rivendica la giustizia, sia questa da parte del popolo che da parte dell’individuo stesso: un pezzo che farà molta fatica a non rimanere nel cuore dell’ascoltatore, insomma.


Il disco si conclude infine con A Little Soon To Say, una ballad decisamente più lenta delle altre e che permette all’ascoltatore di ondeggiare le mani verso l’alto, mentre viene accompagnato da una stupenda chitarra, da meravigliosi cori e da un morbido tamburo che risuona perfettamente. E’ bellissimo anche il senso del brano, che da un lato spinge a raggiungere i propri sogni, ma che poi si chiede quale sia la vera felicità: è davvero necessario tutto quello che desideriamo? O semplicemente non abbiamo apertoabbastanza gli occhi per vedere che la vera felicità è al nostro fianco ogni giorno?


E come non parlare della straordinaria A Song For Barcelona? Un bellissimo medley e jam che trascina con se tutte le influenze raccolte finora, dando spazio e rendendo protagonisti i musicisti che hanno contribuito, rendendo speciale e ben curato ogni singolo istante di questo brano, che celebra l’integrazione e la diversità.


Il disco si apre nel modo più classico, e probabilmente finisce nello stesso modo – si fa eccezione per l’ultimissimo brano – . L’originalità non spicca proprio all’interno del disco, ma non è assolutamente importante.
Perché? Semplice. La maestosità del materiale proposto, una musica di gran classe e dei testi così curati e decisamente di tempi migliori, rendono “Downhill from Everywhere”, uno dei pochi album che vi farà
godere di tutti i 50 minuti di maestosa musica.

Recensione di Gabriele Romano

Correzione di Valentina La Viola