The Killers: “Pressure Machine” | Recensione Music Voltage

Amanti della musica country ,si raccomandano abiti leggeri, prendete molta aria: il nuovo album dei The Killers è pronto a mettervi “sotto pressione”; i pezzi sono pezzi cupi, pieni di emozioni, storie, musica e soprattutto di stralci di VITA VISSUTA!


Come vi avevamo anticipato qualche giorno fa, questo album è nato tra l’annullamento del precedente tour
del 2020 e la pandemia , a pochissimo tempo da Imploding The Mirage.
La storia dell’album inizia proprio qui, durante il “lock down mondiale”, quando Brandon Flowers, cantante
e frontman del gruppo , si ritirò nella sua abitazione ed ebbe “nostalgia di casa”: Nephi, una cittadina nello
Utah, dove è dovuto tornare,in seguito,per star vicino alla moglie malata; Flower comincia a scrivere i pezzi
da solo, pensando alla sua adolescenza e ai tempi passati nella cittadina, poi, grazie all’aiuto di alcuni suoi
conoscenti e concittadini che hanno raccontato le loro storie e lo stile di vita della città, è riuscito a
comporre l’album.


Afferma il gruppo: comporre l’album in un periodo storico così delicato non è stato molto facile. Spesso si
andava in studio da soli e non in gruppo, si indossavano sempre mascherine e si facevano molti tamponi ,il
tutto complicato a causa dell’ipocondria di Shawn Everett che “indossava tre mascherine e appositi occhiali
protettivi”.

The Killers


Ma , grazie ai racconti, alle memorie, ai testi scritti di Sherwood Anderson e di John Steinbeck, e soprattutto
alla tenacia del gruppo, Pressure Machine è qui per raccontarci di droga, povertà,omofobia, amore e
depressione: temi impegnativi ma raccontati e suonati in modo da non sembrare noiosi.


L’album si apre proprio con l’audio di alcuni che raccontano le proprie storie – fanno cenno a fatti e
avvenimenti, marchio di fabbrica di quasi tutte le tracce– prima che piano, violino e chitarra ci aprano le
strade alla prima canzone del disco.


West Hills, con la sua calda tranquillità, racconta di un ragazzo colto dallo sceriffo con così tanta eroina
da “ammazzare i cavalli liberi di West Hills”, un posto che sembra essere talmente tranquillo che nessuno si
aspetterebbe mai un simile avvenimento. Si racconta proprio il disagio e lo sconforto di questo ragazzo, che
vendeva droga, per riuscire a sopravvivere e per far vivere la sua famiglia, alla quale chiede perdono e
pietà per il futuro;si chiede anche cosa ne sarà di lui,ora, semmai sarà in grado di essere di nuovo libero di
percorrere le colline. Un brano decisamente drammatico, difficile da trattare come semplice canzone e da
intendere come fatto di cronaca su cui dover riflettere.


Quiet Town si apre nello stesso modo del precedente: parla di un evento successo anni fa: un treno aveva
investito due giovani gettando la città nello sconforto.
Si narra che il treno che passava di li – appartenente alla compagnia Union Pacific– almeno ogni tre anni
investisse qualcuno, specialmente nei periodi di pioggia; il testo parla, muovendosi su allegre movenze
country, paradossalmente spensierate, di come la cittadina vivesse dopo l’avvenimento di una simile
tragedia. I bambini meno liberi, le famiglie rovinate, e un aiuto fondamentale come un treno, diventato
un’arma contro il bene comune. D’altro canto si parla anche della benevolenza , della costante gratitudine
dei suoi abitanti, che nonostante le perdite continuano a vivere sereni e aiutarsi a vicenda. Vuole essere
anche una sorta di denuncia verso le norme di sicurezza, che nei più piccoli centri degli Stati Uniti, risulta
ancora mediocre.

Terrible Thing al contrario, è una canzone dalle sfumature testuali e musicali tristi. Chitarra e fisarmonica
accompagnano la voce in un testo intensamente cupo che sfocia nella meditazione sul suicidio. Il ragazzo
protagonista della storia osserva i suoi simili divertirsi e godersi la loro vita, nei loro bei vestiti e nei loro
drink condivisi tra amici e ragazze mentre è nella sua camera, con la corda pronta, per togliersi la vita.
L’ultimo pensiero va ai ricordi felici di infanzia, dove le memorie dell’acqua del fiume in estate, quasi lo
fanno esitare.
E’ un pezzo molto toccante e delicato, non immedesimarsi o restarne indifferenti è pressoché impossibile.


Si continua con Cody, un brano che porta un po’ di allegria musicale al disco, con un suono tipicamente
country e un testo da cantastorie perfettamente in linea.

The Killers

Il pezzo parla di un ragazzo che viene percepito come diverso dagli altri ragazzi, responsabile di molti problemi per la sua famiglia. Ma Cody, non è poi così diverso dagli altri, solo ha una prospettiva diversa, ha un’idea di libertà maggiore, tanto da opporsi a quello che la società gli impone

“quindi chi ci porterà via? L’aquila con le ali tinte di gloria? Allora aspetteremo che il miracolo arrivi”.


La poesia più piena prende poi forma in Sleepwalker:descriverla senza parafrasarla risulta molto diffcile. Il
suono più fresco e leggero quasi fa dimenticare i momenti bui delle prime tracce, e finalmente qui rivediamo l’ingresso in scena dei synth tipici dei precedenti lavori dei The Killers.
Il brano parla di un sonnambulo, e come un sonnambulo, il protagonista di questa canzone non sa cosa stia
succedendo intorno a lui; è chiuso nella sua mente, non vedendo che la “primavera” sta arrivando e che, se
resta nei suoi momenti bui, rischia di farsi rubare i fiori e i frutti più belli ch’egli stesso ha coltivato. Una
vera e propria incitazione a non perdersi d’animo e a cercare il meglio per se stessi, poiché il meglio sta
sempre per arrivare.


Una acustica e più “zuccherosa” ballad cantata con Phoebe Bridgers è invece Runaway Horses.
La canzone, lontana tre gradini dalle precedenti, è un momento di ricordi, di memorie di gioventù, e di
come il tempo sia passato così rapido da non aver dato il tempo ai desideri e ai progetti di realizzarsi,
poiché le emozioni e i sentimenti hanno bruciato via gli anni.


La scena che si prospetta potrebbe essere quella solita: sui social ci ritroviamo di fronte al profilo di un
vecchio amico o di una compagna di classe, e ci rendiamo conto che questa persona ora è grande: ha una
nuova vita, un lavoro, magari anche una famiglia, e la domanda è se si ricordi dei tempi trascorsi in
gioventù, dove entrambi si era dei “cavalli liberi” e se magari sia ancora quella persona così allegra e
spensierata di cui si ha ricordo. Tutto ciò diventa poi introspettivo mentre una foto o un ricordo evoca
sensazioni di qualcosa di così recente…In realtà ci si rende conto che di recente c’è ben poco, poiché il
tempo è effettivamente passato, ci si interroga se quei sogni e quella persona che eravamo, ci siano
ancora o siano solo memorie di un periodo.


Uno scenario più tipico dei Killers viene finalmente fuori con In The Car Outside, una sferzata di colori
arriva a tirar giù i toni cupi o leggermente pastellosi dei precedenti brani, lasciando al pop-rock, con dei
leggeri riferimenti country, lo spazio necessario ad esprimersi.

Batterie, chitarre e synth, fanno di questo pezzo uno dei più orecchiabili, nonostante un testo più difficile da decifrare; non si intende bene se si riferisca ad un uomo innamorato di una donna con famiglia, ma chiaramente divorziata, o se sia proprio il protagonista l’uomo che si è separato e continua a volere sua moglie. Resta il fatto che il cantante canta di una divisione difficile, che richiede molto affinchè si possa cancellare per dar spazio all’amore, che al momento, rimane “una macchina che aspetta fuori casa”.

Si muove sulla stessa direzione, musicalmente parlando anche In Another Life, ma da un altro punto:
molto più country, molto più tranquillo e quasi malinconico nelle sue note più alte, per rimarcare il
significato del testo.


Il brano si potrebbe paragonare a una più ritmata Runaway Horses, ma anche qui il punto è diverso. Si fa
sempre riferimento ai ricordi di infanzia, ai sogni e ai desideri, ma questa volta l’immagine è connotata da
un punto di vista che parte da se stessi da bambini: abbiamo raggiunto i nostri sogni? Viviamo la vita che
sognavamo, o siamo cambiati? Abbiamo a fianco la persona che volevamo? Facciamo il lavoro che
volevamo fare? Viviamo nella casa che immaginavamo? Forse meglio? è peggio?

Insomma, in questo pezzo la band si interroga molto, facendo sorgere domande dell’ascoltatore, che
indubbiamente adesso immaginerà un’altra vita, migliore o peggiore di quella che ha.


Torniamo nelle sfumature più scure di una chitarra acustica solitaria ,assieme alla voce, anche se il testo in
questo caso non è così affine alla musica.
E’ qui che conosciamo la dolceamara Desperate Things che racconta la vera storia di un poliziotto
innamorato di una donna sposata che continuava a ricevere violenze domestiche, e i continui incontri tra i
due hanno finito per creare una sintonia indelebile. “Quando sei innamorato, (puoi essere fatto cieco dal
tuo cuore” la passione può accecare l’intelletto, si cela la verità, così si può giustificare il peccato, “Ma
quando la gente è innamorata, è disperata abbastanza da abbandonare i propri sogni”, facendo riferimento
a entrambi i punti di vista: la donna cerca di coprire le violenze del marito, e l’uomo cerca di coprire i propri
sentimenti, lasciando che entrambe le cose accadano in maniera irrazionale.


Ed eccoci arrivati alla title-track Pressure Machine. Una canzone acustica ma più movimentata, lasciando
che il country più dolce prenda piede nel brano che parla di povertà. E tra falsetti inediti nel disco, si
trattano le difficoltà di una famiglia innamorata che cerca di tenersi unita e forte in una società sempre più
difficile da gestire, e tutto ciò viene fatto col sorriso e un leggero velo rosa che non lascia vedere le mani
sporche di un uomo che deve far fronte a lavori umili e pesanti per un sorriso sulla bocca dei propri cari. Un
brano all’apparenza semplice ma estremamente toccante, specialmente nel finale, dove stupendi violini ci
accompagnano verso l’ultimo pezzo.


Lo stesso tema viene trattato all’interno di The Getting By, ma in maniera molto più cupa e scura. Le
atmosfere acustiche e i violini sono più tristi e seri, e così è il testo. Un testo che denuncia la povertà dei
piccoli centri che sembrano abbandonati a loro stessi, incapaci di dare ai propri cittadini un futuro
all’interno delle loro aree , costringendo questi ultimi a un doloroso abbandono in cerca di realtà migliori.

Si cerca, in parecchi punti, di poter apprezzare le piccole cose che si hanno, ma irrimediabilmente si finisce
per pensare ai lati negativi, poiché di soli semplici gesti, purtroppo è difficile vivere,lasciando come risposta,
quaranta secondi di treno in partenza a fine traccia.


Messo a confronto con il cibo, si potrebbe paragonare Pressure Machine a un piatto di lasagna: squisito,
ricco e pieno di tradizione, sicuramente non leggero! E no, non in senso musicale, ma in senso sentimentale.


Qualsiasi brano fa vibrare l’anima dell’ascoltatore creando un vuoto ma anche un pieno , lasciando le
orecchie soddisfatte da buona musica – nonostante sia stato un album “ammorbidito” rispetto ai
precedenti- ma trattare temi così delicati e così drammaticamente attuali, con una forma di poesia non
indifferente – molti brani sono difficili da cogliere senza doverli interpretare – non è assolutamente cosa da
molti artisti.

Ed è così che Pressure Machine ci regala il meglio che potevamo aspettarci, pur con poca promozione –
nessun singolo ad anticiparlo, nessuna grande pubblicità, fuorchè delle anteprime videografiche – ricordandoci che l’avanguardia non sempre è indispensabile, è indispensabile invece la vita, la storia, la genuinità e il cuore
delle persone che lavorano nell’industria musicale.

Recensione di Gabriele Romano

Correzione a cura di Valentina La Viola